Lo zampino di Modì
di Blue Lama - domenica 11 agosto 2024 ore 00:05
Il 10 agosto del 1984 era un venerdì e mi basta ripensare a quel giorno perchè il mio umore migliori, parecchio e a prescindere. No, non sto per parlarvi di stelle cadenti.
Faccio invece presente che erano gli anni in cui l'umorismo sfrontato dei toscani aveva trovato la sua massima espressione nella trilogia di "Amici miei", i film-capolavoro, due diretti da Mario Monicelli e il terzo da Nanni Loy, di cui ancora oggi tutti i miei familiari citano a memoria le battute, cosicchè i nipotini di terza generazione magari sanno pronunciare solo venti parole ma una di queste è 'supercazzola'.
Cosa successe quel venerdì di 40 anni fa? Successe che una ruspa ripescò dal Fosso Reale di Livorno una testa di pietra dai lineamenti allungati, appena abbozzati. Altre due, abbastanza simili, erano state recuperate dallo stesso fossato un paio di settimane prima. A quel punto alcuni famosi storici dell'arte decretarono - con emozione e meraviglia - che i tre reperti altro non erano che le leggendarie sculture scolpite da Amedeo Modigliani nei primi anni del Novecento e da lui stesso gettate nel canale.
Il dragaggio era stato finanziato dal Comune di Livorno nella speranza di ritrovare quelle opere disperse e celebrare cosí in grande stile il centenario della nascita di Modì che correva proprio in quell'anno. Missione compiuta, successo di risonanza mondiale.
Soltanto un mese dopo saltò fuori che tutte e tre le teste erano un falso.
Una era stata scolpita per gioco con qualche attrezzo da muratore dagli studenti livornesi Pietro Luridiana, Francesco Ferrucci e Michele Ghelarducci. Quando fu chiaro che, contro ogni aspettativa e contro ogni logica scientifica, la loro 'scutura' era stata presa per autentica, i tre giovani confessarono la burla in un'intervista a un settimanale e poi corsero in tv a dimostrare davanti a un notaio, trapano in pugno, come erano riusciti a riprodurre lo stile di Modigliani.
Le altre due teste le aveva realizzate l'artista livornese Angelo Froglia con l'intento di evidenziare le conseguenze nefaste di un "processo di persuasione collettiva alimentato dalla Tv e dai giornali". Visto che, a quel tempo, i social erano fantascienza, possiamo dire che Froglia ci aveva visto lunghissimo: lui non era avanti, lui era giá nel futuro.
Quel meraviglioso scherzo del 1984 - che la comunità accademica nostrana non ha ancora digerito - mi tornò in mente moltissimi anni dopo, inaspettatamente, in un altro continente.
Mi trovavo con un gruppo di amici alpinisti in Mongolia, alle pendici dei monti Altaj di cui vi ho parlato anche in un altro blog. A un certo punto, la nostra guida si fermò e indicò una parete rocciosa interamente decorata da incisioni rupestri risalenti all'età del bronzo: cervi, stambecchi, volpi, cacciatori con l'arco. Migliaia di figurine perfette.
Qualche chilometro più in là ci aspettava un'altra sorpresa di natura archeologica, coeva alle incisioni rupestri: due stele di pietra collocate al centro di un'ampia vallata, una più massiccia e scura, l'altra, più chiara, sormontata da un volto ovale con i lineamenti allungati. Mi bastò un'occhiata e l'accostamento fu immediato: "Incredibile, una testa di Modigliani proprio qui, nella steppa sconfinata!".
Sorridendo fra me e me pensai che la stele sarebbe stata perfetta per tirare in ballo lo zampino di Modì e organizzare una beffa alla livornese. In realtà, quei megaliti sono antichissimi: la guida ci spiegò che furono eretti intorno al mille a.C. da popolazioni nomadi, per scopi ignoti. Disse anche che in tutta l'Asia se ne contano poche centinaia e che ladri e vandali ne stavano facendo razzia. Per non parlare delle copie vendute al mercato nero.
Osservai a lungo quei lineamenti di pietra illuminati dal sole del pomeriggio; mi erano simpaticamente familiari anche se fra la Toscana e la Mongolia ci sono 8.300 chilometri di distanza ed è impossibile che Modigliani abbia visto quei volti e ne abbia tratto ispirazione. Ma, da genio qual era, è comunque riuscito a immaginarli e a dar loro un nuovo corpo. E il miracolo dell'arte, ancora una volta, si è compiuto.
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Blue Lama